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mercoledì 25 aprile 2012

IL SENSE OF WONDER.

Vi è mai capitato di ritrovarvi immersi in un mondo del tutto sconosciuto e provare una strana sensazione, un brivido, o una totale estraneità? Vi è mai capitato di leggere un libro, o guardare un film e restare intrappolati nella dimensione che l'autore ha creato per voi, cercando in tutti i modi di capire le regole o le novità del mondo stesso? Bene... Vi è mai capitato di guardare il vostro Brad Pitt che recita come Achille e vedere un aereo solcare i cieli dietro di lui? O intravedere un cartellino Adidas nella bandana da pirata di Johnny Deep?

Benvenuti allora... Siete stati vittima, nel bene e nel male, del Sense Of Wonder.

Direttamente da Wikipedia:
“Il sense of wonder è una reazione emotiva che ha il lettore quando si confronta, cerca di capire o viene messo di fronte ad un concetto assolutamente nuovo e non esistente necessario per recepire delle nuove informazioni. Può essere associato all'azione di cambio di paradigma, atto tipico della fantascienza per cui si accetta una tecnologia futuribile e le sue basi per poter proseguire la comprensione dell'opera o di parte di essa.”

Ora... Io non sono del tutto d'accordo con questa definizione, poiché il Sense of Wonder (SoW) a mio avviso si può ricreare in un qualsiasi contesto, anche senza innescare il meccanismo fantastico, però per il genere Fantasy\Fantascienza è necessario, dato che in una buona storia l'autore non deve spiegare perchè, per esempio, esistono due o tre soli a illuminare il suo mondo, il lettore lo darà per scontato e si adeguerà.
In pratica, il SoW è quel qualcosa che vi fa esclamare “Wow!” ogni volta che leggete o vedete un qualcosa di mai visto, di sconosciuto, ma trattandosi di narrativa fantastica, dovrete dare per scontato che in quel particolare mondo sia così, e perciò dovrete andare avanti nella storia dando atto che esistono cose in quel dato mondo parecchio differenti da quello reale.

lunedì 16 aprile 2012

LA PRIGIONE DORATA...

La posso chiamare Prigione di Carta, la posso chiamare Ossessione, oppure, come molti fanno, chiamarla Scrittura di Genere. Ebbene sì, oggi voglio tornare a parlare di Fantasy, ovvero di ciò che scrivo, ma in un'altra maniera. 
 
Pochi giorni addietro, passati i gozzovigli Pasquali e digeriti vari pranzi e cene, mi sono ritrovato a leggere una delle riviste di scrittura procurata su Internet, la quale, tra i vari articoli, trattava di una cosa in cui mi sono davvero riconosciuto: Lo scrittore di genere, ovvero colui che scrive “solo” un tipo di storia\racconto\romanzo, e non lo abbandona più, sia per sua iniziativa, che per altri fattori che esulano dalle sue scelte.

Ora, come ben sapete, personalmente mi ritengo parte di questa categoria di “scrittori”, vittima mio malgrado di una passione che sfocia in vari imbrattamenti di pagine e pagine giornaliere, quindi perchè non scrivere un bel post sull'argomento? Perchè no... 
 
Dunque, voglio partire citando alcuni nomi di scrittori 'poco conosciuti': Arthur Conan Doyle, J. K. Rowling, J. R. R. Tolkien, e Georges Simenon
 
Cosa vi viene in mente a leggere questi nomi?

Beh... Ma vi devo proprio dire tutto io!?

Conan Doyle: Sherlock Holmes
Rowling: Harry Potter
Tolkien: Il Signore degli Anelli
Simenon: Il commissario Maigret
 
E che cosa c'entrano questi quattro sconosciuti con me? Beh... Io sono più bravo. 
Vabbè, dai... Potete smettere di ridere. 

martedì 3 aprile 2012

QUESTIONE DI POINT OF VIEW.

"Da dove ti guardo?" Questa è la domanda da cui oggi voglio partire per scrivere questo post su un “tecnicismo” che troppo spesso vedo ucciso in tanti, tantissimi racconti e libri. Eh, sì... Perchè oggi voglio prendere una bacchetta di legno, mettermi occhiali tondi sul naso e cappello a tre punte in testa e fare un po' il maestro, per dilettarmi a scrivere d'un argomento che poco ha di Fantasy, ma che tanto ha di Scrittura: Il punto di Vista, comunemente detto POV (Point of View)
Giorni fa, dopo aver finalmente attivato la mia carta di credito, ho avuto modo di fare un ottimo acquisto su internet, che consiglio a chiunque abbia un 'cinquantino' da spendere di fare, ovvero i primi 20 numeri della rivista Writers Magazine Italia. Un'ottima rivista, con tanti consigli sulla scrittura e il cinema, interviste, racconti e recensioni. Un ottimo acquisto davvero.
Uno dei primissimi articoli del numero 1 è, infatti, “Da dove ti guardo?” e su questo articolo baserò il post di oggi.

Un errore comune e fastidioso, che spesso riscontro leggendo racconti di scrittori alle prime armi (ma anche alle seconde e terze armi), è la gestione del POV, spesso considerato meno di zero, ma che se usato in maniera opportuna può trasformare un racconto insulso e pessimo in un'ottima storia o, se mal usato, può viceversa trasformare un'ottima idea di racconto in una colossale schifezza.

Uno studente pieno di brufoli in fondo all'aula alza una mano, e io lo invito a domandare: “Ma cosa vuole dire, professore? Si spieghi meglio!”
Quindi io, aggiustandomi gli occhiali sul naso e sgranchendomi la voce con un colpetto di tosse, vado a spiegare l'argomento, dividendolo come mio consueto il tutto in 2 capitoletti facili da comprendere persino per una scimmia urlatrice.