"Da
dove ti guardo?" Questa è la domanda da cui oggi voglio partire
per scrivere questo post su un “tecnicismo” che troppo spesso
vedo ucciso in tanti, tantissimi racconti e libri. Eh, sì...
Perchè oggi voglio prendere una bacchetta di legno, mettermi
occhiali tondi sul naso e cappello a tre punte in testa e fare un po'
il maestro, per dilettarmi a scrivere d'un argomento che poco ha di
Fantasy, ma che tanto ha di Scrittura: Il punto di Vista, comunemente
detto POV (Point of View)
Giorni
fa, dopo aver finalmente attivato la mia carta di credito, ho avuto
modo di fare un ottimo acquisto su internet, che consiglio a chiunque
abbia un 'cinquantino' da spendere di fare, ovvero i primi 20 numeri
della rivista Writers Magazine Italia. Un'ottima rivista, con tanti
consigli sulla scrittura e il cinema, interviste, racconti e
recensioni. Un ottimo acquisto davvero.
Uno
dei primissimi articoli del numero 1 è, infatti, “Da dove ti
guardo?” e su questo articolo baserò il post di oggi.
Un
errore comune e fastidioso, che spesso riscontro leggendo racconti di
scrittori alle prime armi (ma anche alle seconde e terze armi), è
la gestione del POV, spesso considerato meno di zero, ma che se usato
in maniera opportuna può trasformare un racconto insulso e
pessimo in un'ottima storia o, se mal usato, può viceversa
trasformare un'ottima idea di racconto in una colossale schifezza.
Uno
studente pieno di brufoli in fondo all'aula alza una mano, e io lo
invito a domandare: “Ma cosa vuole dire, professore? Si spieghi
meglio!”
Quindi
io, aggiustandomi gli occhiali sul naso e sgranchendomi la voce con
un colpetto di tosse, vado a spiegare l'argomento, dividendolo come
mio consueto il tutto in 2 capitoletti facili da comprendere persino
per una scimmia urlatrice.